La comunità come strumento di benessere

 




 

Molti di voi oggi sono venuti qui in questo convegno per condividere le ultime novità ed esperienze in tema di diagnostica.

Non vi parlerò di questo, ma proverò a fare una riflessione sul tema del ben-essere.

Che poi quando facciamo degli esami diagnostici, lo facciamo per capire come stiamo, per misurare il nostro benessere. Quindi in realtà le due cose sono legate.

 

Tutti noi viviamo un’epoca di sempre maggiore innovazione. Molte malattie che prima erano mortali sono “controllabili” molto più facilmente.

Basta guardare ai tassi di mortalità e ci si rende conto quanto siano in diminuzione.

Per fare un esempio, a Modena la mortalità per infarto è diminuita in 30 anni del 75%, quella per ictus del 60%. Numeri importanti (vai qui per approfondire i dati).

Quindi sembra che vada tutto bene. Viviamo di più e potremmo chiudere qui la nostra riflessione.

 

In realtà i nostri colleghi psicologi o chi lavora nella salute mentale ci racconta di una esplosione di malessere e di richieste di aiuto da parte delle persone. Giovani, adulti e anziani.

C’è una malattia, sempre più pandemica, ed la solitudine.

E’ lei la vera malattia del nostro tempo.

 

C’è un libro bellissimo che vi invito a leggere di Noreena Hertz, un’economista, dal titolo “Il secolo della solitudine”, che racconta proprio questo. Quello che viviamo tutti i giorni.

E il titolo dice già tutto. Siamo sempre più connessi e sempre più soli.





Viviamo in una società fatta per allontanarci come persone e come comunità. E questo ha un prezzo enorme sui singoli, sulle famiglie e sulla comunità nel suo insieme.

E questo lo possiamo vedere da molti punti di vista.

Siamo una società con sempre meno fiducia. 

Una società che sta perdendo il senso dell’aver fede, al di là dell’aspetto religioso.

Pensate solo per citare un esempio al crollo di fiducia nella scienza, quella vera e alla credibilità che hanno gli esperti-non esperti.

 

Dicevamo che il problema lo possiamo vedere da molti punti di vista.

Da quello delle relazioni. Pensate all’impatto che i nuovi sistemi di comunicazione stanno avendo.

Persone sole e che stanno ore di fronte ad uno schermo. Ai miei tempi c’era il problema di stare di fronte alla TV per troppo tempo.

Io sono un boomer, quelli della TV in bianco e nero, in cui i pochi canali che avevi dovevi alzarti in piedi per cambiarli.

O i telefoni appesi al muro con il duplex e con il lucchetto per non telefonare troppo.

Ora questo fa sorridere.

 

Comunicazione dei media dove puoi passare la tua giornata in un vortice di notizie negative che tolgono il respiro.

Le famose tre S per fare notizia. Sesso, Soldi e Sangue. La stessa notizia ripetuta decine e decine di volte nella stessa giornata.

Dalla TV normale in 30 anni siamo passati ai social media, macchine create per fare soldi e per distruggere le identità dei nostri ragazzi.

Dove puoi pensare di avere molti amici senza aver guardato negli occhi nessuno, senza aver ascoltato i suoi silenzi.

Perché i silenzi parlano.

E la buona notizia è che più stai lontano dai social e più stai bene.

 

Solitudine delle persone anziane, dove lo stare soli diventa elemento di rischio e di decadimento mentale e fisico. Tenete conto che supereremo la soglia del 50% di famiglie composte da una persona sola.

Solitudine dei giovani, sempre più connessi, ma dove a volte fanno fatica a uscire dalla loro riserva, se non attraverso gli schermi dei loro dispositivi digitali.

Oppure sono obbligati ad una corsa continua, da un corso all’altro, che gli viene proposto e imposto dalla famiglia.

Solitudine come consumatori. Un tempo anche il momento dell’acquisto diventava un momento di condivisione, il famoso andare al mercato o nel negozio vicino a casa.

Piano piano ci stanno portando al poter fare la stessa cosa seduti sul divano e ricevendo i nostri bisogni sull’uscio di casa. Cosa molto utile quando necessario, ma strumento infernale quando superfluo.

Anche per l’ambiente. E noi in pianura padana dovremmo occuparcene molto per la nostra qualità dell’aria.

E siamo tutti responsabili.

Quando ci lamentiamo che le nostre città sono insicure, pensiamoci al fatto che tutti noi, tutti insieme, abbiamo ad esempio fatto sparire i negozi di vicinato, con i nostri comportamenti di acquisto.

 

Solitudine anche come professionisti della salute. Dove la spinta per ogni cittadino è quella del ritornare ad avere la propria assicurazione privata, cosa che abbiamo già sperimentato prima del 1978.

Dove il modello è quello della risposta immediata ad un bisogno, spesso in modo poco appropriato.

Ed è chiaro che se abbiamo tante organizzazioni diverse che si occupano di salute, è sempre più difficile essere una comunità professionale e riuscire a parlarsi.

Tutto questo va a depotenziare un sistema sanitario e sociale integrato, l’unico in grado di risolvere i problemi importanti che tutti noi prima o poi dobbiamo affrontare.

Quelli veri, quelli che fanno guadagnare poco a chi pensa di fare soldi in sanità.

 

Cosa fare per contrastare la solitudine? 

Come tutti i temi complessi non abbiamo una unica soluzione. E’ un argomento che va affrontato mettendo insieme tutti gli attori della nostra società.

Sicuramente non è un problema solo delle singole persone.

 

Parto dalla politica. Che è in grande crisi. In molte nazioni, metà delle persone non vanno più a votare. Rinunciano ad esprimere la loro opinione.

E il tema della divisione e della solitudine è in primis un tema politico. Il tema della non integrazione fra culture ed esperienze diverse è un tema politico.

E’ molto evidente che alcuni soffiano sul fuoco della sfiducia e del fare sentire le persone sole e impaurite. Questo porta consenso elettorale.

Da poco si è chiuso il caso Bibbiano, e non se ne è quasi parlato.

 

E’ evidente che sono scelte politiche quelle di decidere di dedicare risorse, come ad esempio fa ogni anno la Regione Emilia Romagna con la legge 19 del 2018 sulla promozione della salute e sul benessere delle comunità.

Risorse utili per tornare a riempire insieme i tanti spazi comuni che abbiamo attorno a noi.

Spazi per fare cosa? Ogni fascia di età ha il proprio vocabolario e le proprie esigenze.

 

Ad esempio in provincia di Modena sta funzionando molto bene il progetto delle palestre della memoria, dove per una volta, abbiamo delle liste di attesa positive.

Dove gli anziani ritrovano il senso della propria vita. Dove persone che erano anni che stavano nella loro casa, tutte le settimane escono per incontrarsi e dove le signore anziane hanno riscoperto il piacere di andare dalla parrucchiera.

O le comunità amiche della demenza, dove ci sono già molti Comuni che hanno scelto di affrontare questo tema.

Facendo diventare il problema di alcuni una opportunità per tutti, opportunita’ di essere umani.

Perché il come noi gestiamo la malattia, rappresenta il termometro della nostra umanità. Come singole persone, come famiglie e come comunità.

 

Vi racconto un episodio. L’inverno scorso abbiamo ricoverato una signora che aveva il riscaldamento spento da una settimana e questo ha acutizzato tutta una serie di problemi. Nessuno di quella comunità ha avuto l'opportunità di aiutarla a riaccendere quel riscaldamento.

 

La politica può fare molto quando deve decidere come investire le risorse che ha a disposizione, ma siamo noi a scegliere i politici che guidano le nostre comunità.

 

Siamo in un tempo senza tempo. Siamo sempre di corsa, facendo 10 cose insieme. E questo non è normale. Ce lo dobbiamo dire.

Dobbiamo ritrovare il tempo di ascoltarci e di guardarci negli occhi. Avendo lo spazio di ascoltare i nostri silenzi e i nostri bisogni.

 

Per tornare all’esempio di prima delle palestre della memoria della provincia di Modena, sono 500 i volontari che hanno deciso di dedicare del tempo alla propria comunità.

Quando sono venuti i colleghi brasiliani, da cui impariamo molto sul senso della comunità, si sono meravigliati che questi volontari non fossero pagati.

Che lo facciano gratuitamente. In realtà queste persone stanno facendo a sé stesse il regalo più bello. Che è quello del tempo.

 

Dobbiamo trovare il modo di creare queste opportunità anche per i giovani, che sappiamo essere in difficoltà.

Ma come ha scritto Alessandro Baricco in questi giorni, loro ci stanno dimostrando la fine del Novecento e del suo modo di essere.

Del linguaggio della forza, della prevaricazione, della disattenzione all’ambiente e della guerra. Sperando in questi giorni di averne chiusa almeno una delle tante.

 

Con loro possiamo fare due cose.

Da un lato, lasciare loro spazio e spazi.

Creando spazi di comunità, che una volta erano in gran parte le parrocchie, dove i ragazzi possono dimostrare la loro responsabilità e possono agire il loro modo di essere.

Che ad esempio possono essere le scuole stesse che tengono aperte il pomeriggio, diventando un punto di vita sociale.

Non è possibile, cosa vista poco tempo fa, che i ragazzi si incontrino alla lavanderia a gettoni, essendo quello l’unico luogo in cui non devono pagare qualcosa.

 

E’ evidente che questo implica un investimento per il futuro. E per fare un esempio concreto, il Comune di Scandiano lo ha fatto.

 

L’altro tema per i ragazzi è quello di fargli vivere la comunità stessa. Una grande occasione sarebbe quello di rendere obbligatorio il servizio civile, 6 mesi durante i quali ragazze e ragazzi, hanno la possibilità di vivere da vicino le associazioni del territorio.

Una grande occasione di crescita per loro e per le associazioni stesse. Elemento fondamentale delle nostre comunità e del nostro benessere.

 

In questi anni anche il tema del gioco ha subito un passaggio dal noi all’io. Dove sempre più veniamo spinti verso giochi individuali e dove è lo stesso Stato che ci inculca il gioco d’azzardo, nella TV o nei bar e nelle tabaccherie.

Anche qui un va adottato un approccio di comunità. Stiamo lavorando a Modena per fare riscoprire la bellezza del gioco di comunità, del giocare insieme. Con l’obiettivo di avere spazi nella comunità e nelle scuole in cui si torna a giocare, in modo cooperativo.

Percorso fatto con le associazioni che si occupano del tema, con una rete diffusa in tutti i comuni del nostro territorio. Spazi in cui le persone sperimentano la bellezza dello stare insieme condividendo emozioni.

 

 

L’altro punto su cui ci stiamo concentrando è quello delle emozioni. Con le scuole abbiamo creato un progetto che si chiama la scuola delle emozioni.

Un percorso con gli insegnanti delle scuole modenesi in cui mettere al centro il tema delle emozioni nel percorso di crescita dei ragazzi, dicendoci in modo molto chiaro che prima di tutto viene il benessere dei nostri ragazzi.

E del progetto collegato di Chiacchiere importanti per la vita, una occasione che offriamo alle famiglie dei nostri ragazzi per imparare ad ascoltarli e parlare con loro. Progetto nato in Svezia, portato a Modena per la prima volta e che ora si sta diffondendo in tutta Italia. 

Esempi che si legano al percorso che si sta facendo sul tema della prescrizione sociale, in cui fare emergere le opportunità di benessere esistenti nelle nostre comunità.

Tutte occasioni di come con un approccio di comunità possiamo trasformare i problemi in opportunità di benessere.

 

Mariana Mazzucato, nel secondo libro che vi consiglio di leggere che si chiama Missione Economia, ci dice da un lato di concentrarci su obiettivi specifici, su missioni come li chiama lei, pensando al tema ambientale.

Dall’altro di farlo con forti investimenti pubblici su obiettivi strategici di lungo termine, coinvolgendo anche il privato.

Così come è stato fatto dalla NASA nell’operazione Apollo per lo sbarco sulla luna. Che all’inizio sembrava una cosa folle.

 





E l’idea di fondo è che questa alleanza sappia superare la visione ristretta del capitalismo attuale, che opera solo con obiettivi di breve periodo, legati agli andamenti dei propri titoli azionari.

Con imprenditori che non guardano solo al profitto di breve termine, ma hanno una visione di comunità.

 

E qui il pensiero corre al grande Adriano Olivetti, che riuscì a coniugare una forte innovazione ad una attenzione altrettanto importante al benessere dei propri dipendenti e delle comunità attorno alla propria impresa, investendo nella cultura, nell’arte e nella bellezza.

Era convinto che l’impresa dovesse contribuire al benessere della comunità.

 

E quello che tiene legato il pensiero di Olivetti e della Mazzucato sta proprio nell’audacia di avere degli obiettivi ambiziosi.

 

E se seguiamo il paradigma della società attuale, non arriveremo mai ad un benessere reale dei singoli e delle comunità, soprattutto con una visione dove l’io prevale sul noi.

 

E come professionisti cosa possiamo fare?

Con Alda Scacchetti e Tommaso Fasano abbiamo pensato ad un progetto che si pone l’obiettivo di condividere una cultura del benessere in ambito diagnostico, partendo dalle domande che ci poniamo tutti i giorni e fornendo le risposte in modo semplice.

Lavorando sulla fiducia e sfatando i falsi miti creati da chi vuole solo guadagnare, senza pensare al nostro star bene.

 

Concludo dicendo che tutti noi siamo qui a godere dei benefici dell’innovazione e ora dell’intelligenza artificiale.

E la maggiore efficienza che avremo da questa nuova opportunità, possiamo e dobbiamo dirigerla verso investimenti nelle nostre comunità.

Questa è la vera assicurazione per il nostro benessere che tutti noi dovremmo avere.

Per trasformare i nostri bisogni e fragilità in una grande opportunità.

Come Olivetti e tanti altri ci hanno insegnato, ognuno di noi rappresenta un filo, che solo messo insieme agli altri può comporre un grande dipinto di umanità.

Sta a noi scegliere il futuro che vogliamo, come cittadini e come professionisti.