Comunicare la sanità pubblica

 


Intervento al convegno del 12 giugno 2024 

UP DATES IN AUTOIMMUNITÀ, ALLERGOLOGIA E IMMUNOLOGIA CLINICA 2024

 


Il mio compito oggi è di parlare di comunicazione e di sanità pubblica. E alla fine, così vi dico subito quale è il finale, vi parlerò di valori. Di valore e di valori. E di quanto sia importante per la nostra pratica professionale, di gruppo e di singoli professionisti, affrontare questo tema. 

Giornate come questa sono l’occasione per fermarci e riflettere sul senso di quello che facciamo, che è una cosa che facciamo troppo poco. Poco nella nostra pratica lavorativa e anche nella nostra vita, a parte qualcuno di noi che se riesce a farlo ha una fortuna immensa.

Tutti noi ogni giorno siamo immersi in una corsa continua, a risolvere problemi urgenti, sempre più urgenti, spesso senza mai alzare lo sguardo. E senza mai guardarci dall’alto rispetto a quello che facciamo, in modo da guardare indietro e soprattutto avanti. A dove vogliamo arrivare e se stiamo facendo la strada giusta.

Ed è come se fossimo costantemente concentrati in una camminata in montagna e non alzassimo mai lo sguardo per guardare lontano. Che è molto pericoloso, perché rischi di perderti, rischi di perdere il contesto, se arrivano delle nuvole all’orizzonte, se stai facendo il percorso migliore in funzione delle nostre energie e della nostra meta.

Cosa ti chiedono gli esperti di comunicazione, con le famose agenzie di comunicazione e marketing, quelle che hanno ideato le campagne della Mulino Bianco per intenderci. La domanda che loro ti pongono e che hanno posto nel 1974 ai signori della Barilla è stata sul senso di quello che si voleva comunicare.

E guardate che così come in altri casi, a distanza di 50 anni loro ci sono riusciti benissimo, perché quando si parla di Mulino Bianco, per noi è quella roba lì.


E quando noi pensiamo alla sanità pubblica a cosa pensiamo? Cosa vorremmo che fosse? Qual è il nostro sogno a cui ispirarci?

Cosa raccontiamo ai ragazzi che iniziano a studiare le diverse professioni sanitarie? O a chi entra per la prima volta, il primo giorno in cui iniziano a lavorare con noi?

Se, gli parliamo, perché il tema di fondo che vi dicevo all’inizio è che corriamo sempre e non troviamo il tempo sufficiente per confrontarci, per guardare lontano.

Quale è il nostro sogno nelle attività che svolgiamo ogni giorno? Quali sono i valori più importanti che vorremmo vedere realizzati?

Il mio sogno ed è la differenza rispetto a chi vuole una sanità sempre più privata, è di non lasciare indietro nessuno, quindi un sistema sanitario e sociale che accoglie ed è vicino a chi ha più bisogno.

Che a tutti noi, quando abbiamo un bisogno, ci sia la possibilità di avere una risposta adeguata. Indipendentemente se tu sia ricco o sia povero. E guardate che non è un slogan elettorale.

Sempre più nelle nostre società si sta infatti allargando la forbice fra chi ha risorse e chi non le ha. E la stessa cosa è per la scuola. Fra i ragazzi delle famiglie che hanno risorse economiche, sociale e culturali e chi ne ha meno.

E la capacità di dare una risposta a tutti quelli che ne hanno bisogno, senza guardare che tipo di polizza hai sottoscritto, rappresenta il livello della nostra civiltà.

E nel dare le risposte ai bisogni, noi ogni giorno facciamo un profondo atto di comunicazione, che è legato al relazionarsi. Perché per comunicare bisogna essere in due. Se no sto facendo della informazione.

E questa relazione genera fiducia, che è il cuore del sistema sanitario. Come l’olio di un motore. Senza fiducia il motore fonde.

Quando faccio un esame di laboratorio e voi me lo mandate sul fascicolo sanitario elettronico, io sono felice perché mi arriva in poco tempo, ma quella è informazione.

E quale è il risultato? Che io vado su google a vedere i parametri con l’asterisco e potete immaginare cosa succede. Il disastro. Che è quello che tutti noi vediamo e subiamo ogni giorno. Come cittadino e come operatore.

Quindi è fondamentale lavorare sul ri-creare relazioni. Sul fare si che ci sia qualcuno con cui io cittadino possa esprimere i miei dubbi, le mie paure, che ascolti le mie domande. Che generi e rafforzi la fiducia fra me e il sistema che si sta prendendo cura di me.

Dove l’omeopatia funziona? Mica per le pillole che loro preparano, ma perché dietro ci sono operatori che sanno ascoltare e creare fiducia.

Siamo in un momento in cui abbiamo la massima potenza comunicativa con i giocattoli che teniamo in mano ogni secondo della nostra vita, con i social in cui pubblichiamo ogni momento delle nostre vite, con i selfie, eppure… Eppure qualcosa non funziona.

E’ evidente che per uno che deve vendere questo è un sogno. Riuscire a interagire con me, con le mie caratteristiche, le mie paure, con la mia vita, e riuscire ad offrirmi qualcosa da comprare è fantastico. Stimolando o creandomi delle aspettative e dei bisogni.

Qualche mese fa ho comprato su instagram uno sturaorecchie.  Oggetto di cui non conoscevo l’esistenza fino a quando non ho visto un video stupendo. Per 5 minuti sono entrato nel loro mondo e questi signori mi hanno convinto che questo stura orecchie fosse prima un problema per la mia vita, e che poi me la risolvesse. E ovviamente l’ho comprato e ora lo tengo, così mi ricordo ogni volta che lo vedo quanto sono stato un pollo.

E’ evidente che per chi vende questo prodotto tutto questo funziona perfettamente.


Ma quando parliamo di sanità pubblica quale è la cosa che vogliamo “vendere”? e a chi?

Voi che abitate il mondo dei laboratori siete immersi tutti i giorni nell’innovazione, nella genetica, nel futuro. Rispetto a 100 anni fa avete fatto passi da gigante.

Vi confesso che quando i miei genitori piemontesi qualche anno fa sono venuti a Modena, gli ho fatto vedere la Ghirlandina, la pista della Ferrari a Fiorano e poi li ho portati a vedere BLU. Per voi è pane quotidiano, ma per un cittadino normale è molto fantascientifico tutto quel sistema che gira da solo.

Abbiamo quindi una macchina che va molto ma molto forte, eppure se non ci fermiamo a riflettere sul senso di quello che facciamo andiamo a sbattere, rischiamo di perdere il sentiero per tornare al pensiero iniziale della montagna.

In queste settimane per l’ennesima volta siamo tornati tutti a parlare di specialistica e di liste di attesa.

Che per le persone è un problema importante. Perché devo aspettare, se quando vado su amazon qualunque cosa mi arriva il giorno dopo a casa?

E parlare di esami di laboratorio significa parlare del senso profondo di quello che facciamo e di come lo facciamo.

Perché gli studi scientifici ci dicono che metà delle cose che vengono proposte in sanità non ha prove adeguate. La famosa appropriatezza, su cui ho avuto la fortuna di lavorare tanto anche dal punto di vista economico insieme ad Alessandro Liberati. Spesso non ci sono prove adeguate eppure facciamo lo stesso quegli interventi, quegli esami. E tutto questo ha un senso?

 

Vi invito a leggere tre libri.

Il primo è appena uscito di Luca De Fiore, il titolo è “Sul pubblicare in medicina”, ed è il racconto di come il sistema delle pubblicazioni scientifiche e della ricerca non sia costruito per il bene comune, ma per interessi diversi.

Il secondo di Gianluca Diegoli, il titolo è “Svuota il carrello”. E Gianluca è un genio del marketing, quello vero, quello generativo che pensa al bene comune. Vi invito a seguire la sua newsletter.

Il terzo è un libro di Victor Montori, uno dei padri della medicina basata sulle prove, grande epidemiologo e diabetologo della Mayo Clinic, che ha fondato un movimento che si chiama Patient revolution. Il libro in Italiano è Perché ci ribelliamo. Lui descrive quello che non va nella medicina industrializzata e come essa abbia snaturato la propria missione, smettendo di prendersi cura delle persone. Lui propone una rivoluzione fatta di compassione e solidarietà, di conversazioni pacate e di cura attenta e premurosa. Una rivoluzione che usa le armi della gentilezza, della speranza, della fiducia.

Riflessioni che si legano al tema delle comunità, e di come siano anche le comunità stesse che possono prendersi cura dei loro bisogni.

E al tema dell'integrità del sistema sanitario e sociale, che si è visto in questi anni porta anch'esso a quello dei valori.

In cui rallentiamo e questo andare più piano risulta assolutamente economico. Economia che guarda al benessere e al lungo periodo che è cosa ben diversa dalla finanza, che troppo spesso vuole risultati a brevissimo termine.

 

Provo a chiudere le mie riflessioni.

La prima cosa è che prima di pensare a come comunicare la sanità pubblica, dobbiamo riflettere costantemente e insieme sul senso di quello che facciamo.

E fare bene le cose. Se lavori bene, non hai bisogno di comunicare. Saranno gli altri che parlano bene di te. Avete mai visto una campagna pubblicitaria della Ferrari?

 

E guardate che i giornali tradizionali ad esempio hanno lo stesso problema. Sono stati trascinati in una corsa verso la velocità dell’informazione, che li sta distruggendo.

E l’unica via per resistere non è produrre informazioni sempre più velocemente, in competizione con i social. Tanto quella gara li la vince l’intelligenza artificiale, che già alcuni usano.

E anche nel caso dei giornali e della comunicazione il tema di fondo è lavorare sulla qualità di quello che io offro. E se lavoro bene, sono le persone che vengono a cercarmi.

 

La seconda riflessione, parte dal modulo per l’assenza di conflitti di interesse che qui come relatori ci è stato fatto firmare per l’ECM.

A me piacerebbe che tutte le mattine, invece di timbrare con il badge la presenza, ci venisse chiesta una dichiarazione sulla presenza di interessi, sul livello di interesse per il bene comune. Se quel giorno non fai il bene comune, vai a casa. Non lavori.

O fatto con un esame diagnostico. Pensate un apple watch che accanto ai battiti cardiaci e alla fibrillazione atriale, ti segnala il tuo livello per il bene comune. Come la pressione, un valore minimo e uno massimo. Oggi di bene comune ho 50-100. E poi sviluppiamo degli integratori per aumentarlo.

 

Dobbiamo quindi aiutarci tutti insieme a ricordarci che lavoriamo per il bene comune, se no possiamo andare a vendere merendine.

E siccome le nostre organizzazioni sono le più complesse, abbiamo ancora più bisogno di rallentare, alzando lo sguardo insieme per vedere dove il nostro cammino sta andando.