La ri(e)voluzione della gentilezza
Oggi 25 novembre siamo qui ricordare la giornata contro la violenza delle donne. Come tutte le cose della vita è un fenomeno complesso, non basta ricordarcene un giorno solo all’anno, come non basta colorare una panchina di un parco. Quello che abbiamo visto in questi giorni sono delle esplosioni, delle grida di dolore che non possiamo non vedere. Che hanno un prima e un dopo, su chi resta di quelle famiglie. Sono dei diritti negati.
Una possibile chiave di lettura di questo fenomeno è il tema della gentilezza. Dell'avere una società gentile, organizzazioni gentili. In cui i bisogni delle persone diventano diritti. Cosa significa essere gentili e come fare per arrivare ad avere una società gentile?
Bisogna essere ri(e)voluzionari, mettere in campo delle rivoluzioni gentili. La differenza sta in questa vocale, protetta dalle parentesi tonde che ci piace pensare anch’esse gentili, che sono le “e” delle emozioni.
Parlare di emozioni, per i non addetti ai lavori, significa il cartone animato Inside Out. Un film costruito sulle emozioni di base (gioia, rabbia, paura, dolore e disgusto). E come tutte le cose c’è dibattito su quante siano. In ogni caso ci sono e sono la base della nostra vita, e la differenza sta nel conoscerle e saperle gestire.
Quindi cose già conosciute e in alcune realtà anche realizzate. Si tratta di renderle terreno comune, farle diventare normalità. Lavorando su di noi come singole persone e sulle organizzazioni, che sono poi fatte di persone.
Il mondo del lavoro è fatto di organizzazioni, ma lo sono anche le singole classi a scuola, le associazioni di volontariato e anche le famiglie stesse sono piccole cellule organizzative. Anche quelle composte, e sono sempre di più, da singole persone, che attorno a sé hanno comunque una rete più o meno organizzata. Sono organizzazioni le istituzioni, come le aziende sanitarie, i sindacati e gli ordini professionali.
Da dove iniziare per avere un mondo gentile? Dai bambini, dalle loro famiglie e dal mondo della scuola, il primo che loro incontrano per un tempo prolungato. Da questo punto di vista abbiamo pensato alla “scuola delle emozioni”, iniziando dalle scuole dell’infanzia e primarie, con un lavoro comune con gli insegnanti e con le famiglie. L’idea è quella di essere il più possibile contagiosi e spostarci poi verso altri contesti, salendo ai ragazzi più grandi e verso la società dei "grandi". In questo caso non cercheremo nessun vaccino per questo virus di bellezza.
In concreto essere gentili significa essere capaci di ascoltare. Di mettersi nei panni dell'altra persona che esprime un bisogno. Essendo consapevoli che quel bisogno forse non potrà avere una risposta, ma già l'atto di essere ascoltati in modo attento può fare la differenza. Pensando agli episodi di violenza essere gentili significa in primis essere in grado di ascoltare quella richiesta di aiuto che spesso non viene neanche fatta, perché chi vive quella condizione non ha la forza per esprimerlo, perseguitato ma anche persecutore.
E non saranno le regole a cambiare la realtà. Potremo fare tutte le migliori leggi del mondo, ma se rimangono scritte sulla carta e calate dall’alto resteranno semplici esercizi retorici. Quelli sono strumenti "giuridici", che servono per esprimere un giudizio, quando qualcosa non funziona. Ma non sono utili a plasmare la realtà.
Una vera ri(e)voluzione parte dal basso e coinvolge le singole persone. Lavoro lungo, dispendioso, ma l'unico che possa dare frutti. Quello in grado di dare valore al cammino fatto insieme per arrivare al risultato.
Gentili anche rispetto all’ambiente che ci circonda, in cui le persone vivono. Da questo punto di vista l’inquinamento è una forma di violenza e il risparmiare energia, una forma di gentilezza verso noi stessi, verso chi ci sta attorno e verso le generazioni future.
Qui entra in gioco il tema dei saperi e di coloro che hanno la possibilità di esercitarli. Professionisti in primis e cittadini che hanno il tempo e l'energia di dedicarsi al bene comune, con la voglia di dedicare del tempo al servizio delle comunità. Insegnanti, operatori del sociale, del sistema sanitario, imprenditori e lavoratori delle imprese private.
Ascolto dei bisogni reali delle persone e dei loro problemi, che rappresenta il modus operandi delle organizzazioni capaci di gestire i rischi in modo attento. Capaci di sviluppare resilienza. Gestione del rischio che deve essere integrata, se no disperdiamo tempo ed energia. Anche questa una forma di gentilezza.
Essere gentili implica dedicare tempo per ragionare su quali sono i valori per noi importanti. E significa anche saper ammettere i propri errori, mostrando il lavoro di crescita che c'è dietro al volerli ridurre al minimo.
Gentilezza nelle relazioni. Significa creare le condizioni affinché ci sia anche il tempo per farlo. Siamo sempre più di corsa, con meno tempo, ma forse perché facciamo molte cose che potremmo tranquillamente evitare. Una organizzazione gentile è quella che usa ad esempio il tempo degli incontri per condividere i pensieri e le emozioni e non solo per informare. Quello può essere fatto prima e in altri modi.
Gentilezza significa condivisione delle scelte, soprattutto quelle importanti. Questo aiuta a seguire gli interessi di tutti e non solo di pochi. E consente di ridurre gli errori, perché vedi le cose da diversi punti di vista.
Una organizzazione gentile è quella che decentra il più possibile le decisioni operative. Che non significa il caos, significa che quella decisione è presa da chi conosce quel contesto e la prende entro dei principi comuni. Questo implica avere dei sistemi di valutazione veloci, in grado di mostrare in tempi stretti la direzione della nostra macchina.
Una organizzazione gentile è quella che riconosce i propri limiti e cerca di costruire reti e relazioni. Anche dal punto di vista delle risorse in campo, spesso troppo frammentate. Mettendo insieme tutte le istituzioni e le associazioni di una comunità.
Una organizzazione gentile è quella che investe sul ben-essere dei propri componenti. Non ha prezzo un luogo di lavoro che consente ai propri dipendenti di crescere in termini di consapevolezza, personale e dell'essere professionisti. Che crea spazi in cui sentire il proprio respiro e il proprio essere.
Essere gentili significa anche saper guardare agli eventuali conflitti di interesse esistenti e saperli gestire con sapienza, per tutelare il bene delle persone di fronte a noi e delle nostre comunità.
Essere gentili significa lavorare sulla bellezza, anche degli spazi attorno a noi. Pensate alle sensazioni di entrare in una struttura bella, rispetto al farlo in una dove regna il caos e il bruttume.
La gentilezza significa usare le emozioni per crescere ed evolverci, per ri(e)volverci.
Da dove cominciare tutto questo? Da noi come singoli individui, trovando spazi e tempo per essere maggiormente consapevoli. Regalandoci 10 minuti al giorno di solitudine, per ascoltare il nostro respiro.
Dal fermarci a parlare e ascoltare le persone che incontriamo. Guardarle negli occhi, riuscendo a comunicare il nostro essere in quel momento, magari senza dover neanche parlare.
Dal fare sì che le nostre organizzazioni diventino gentili attraverso le emozioni.
Che la gentilezza sia "contaminante", che diventi un virus positivo. Che possiamo tutti diventare ri(e)voluzionari.