Caporetto Management - La gentilezza per trasformare una crisi in opportunità



Questo bellissimo libro di Antonio Iannamorelli racconta la storia di una crisi e di come questa possa diventare una opportunità di cambiamento. Con la gentilezza di una persona, e poi di una organizzazione. È il racconto di due uomini, Cadorna e Diaz, i due comandanti dell’esercito italiano nella Prima Guerra Mondiale: il primo in sella fino a Caporetto, il secondo da quel momento in poi.

Diaz vinse la guerra con pazienza, pacatezza e capacità di comunicazione, senza quasi mai attaccare. Un vincitore dolce, un nudge si direbbe oggi. Una persona pacata che arrivava dalla prima linea, saltando gerarchie e anzianità, capace di colmare con la collegialità la forza del singolo.

Cadorna pensava di vincere la guerra con la forza e l’imposizione, con condizioni di vita per i soldati insopportabili, sfiancati dai continui attacchi senza un senso e dalla disciplina punitiva. Con lui il comando era piramidale e non collegiale, non venivano socializzate le decisioni e non venivano valorizzate le competenze specialistiche. E non esisteva un controllo incrociato sulla esecuzione degli ordini, spesso assunti senza verifiche preventive e senza un coordinamento con le strutture intermedie che connettevano comando e prima linea.

Dopo il primo anno di guerra in cui la maggior parte degli ufficiali erano morti, si pose il problema di avere ufficiali senza esperienza. E l'essere un graduato era vissuto come un privilegio e non come una responsabilità. Il 24 ottobre del 1917 iniziò l’attacco degli austro-tedeschi tra Plezzo e Tolmino. E si aveva la tipica situazione di una crisi pre-strutturale. I soldati erano demotivati e gli ufficiali applicavano misure disumane. I quadri non erano in grado di svolgere il ruolo di motivatori, trasmettendo indicazioni chiare e non erano riconosciuti titolari di una leadership reale. La comunicazione interna non esisteva. Ci si limitava alla trasmissione di ordini di cui nessuno capiva il senso nella strategia generale e non vi era autonomia dei nodi locali dell’organizzazione. Lo scoramento veniva trasmesso di bocca in bocca, anche da parte delle truppe con maggiore anzianità, che lo trasmetteva ai nuovi arrivati, azzerando motivazione ed entusiasmo. Tutta la struttura perdeva di autorevolezza e tutto diventava un circolo vizioso.

Tutto questo fece sì che un evento negativo come una sconfitta militare si trasformasse in crisi. E Cadorna scaricò i soldati in prima linea, addossando loro la colpa della sconfitta, non vera. Le sue parole nel famoso bollettino giornaliero ebbero un impatto enorme. Il 9 novembre Cadorna venne sostituito con Diaz. Ma quali errori furono commessi?
• la mancanza di collegialità nel gestire la crisi
• lo scaricabarile su chi era in prima linea, il modo più sbagliato per porre le basi della resilienza e la messa in discussione della fiducia nei propri uomini
• le fake news (tema molto noto al giorno d'oggi) e la responsabilità di non aver vigilato e di non aver occupato con puntualità, tempestività e trasparenza il campo con contenuti credibili
• una organizzazione piramidale e centralistica che portava a tragici errori
• la censura veniva usata per reprimere, non per capire i problemi e rimuoverli
• la comunicazione non era mirata ma diffusa, inefficace e unidirezionale, dall'alto verso il basso

L’arrivo di Diaz permise di riconquistare credibilità e fiducia. Era amato dai soldati, controllava personalmente la condizione delle truppe, curando il loro benessere. Sapeva che l’arma vincente stava nell’elemento umano, comandando con il cuore, la persuasione, l’esempio ed era attento al morale della truppa. Praticava la delega e valutava positivamente il dare poteri e responsabilità ad elementi distanti dal comando, preferendo specializzazione e vicinanza della titolarità decisionale rispetto al reparto che doveva attuarlo.

Aumentò il numero di armate, rendendole più piccole e gestibili e riorganizzò il rapporto fra artiglieria e fanteria. Con Cadorna la prima era affidata ai comandi di armata e corpo di armata e in misura ridotta a quelli di divisione. Questo faceva sì che quando un comando di divisione doveva attaccare il nemico, doveva chiedere l’uso dell’artiglieria al livello superiore generando tragici ritardi o errori, legati alla scarsa flessibilità ai cambi di scenario. Diaz riportò la gestione dell’artiglieria sotto ai comandi di divisione, consentendo una gestione unitaria fra i due elementi.

E mise in campo una fitta rete di ufficiali di collegamento che riportavano informazioni e ordini. Diaz soprattutto lavorò per eliminare le cause del malcontento. Senza la motivazione dei collaboratori non c’è possibilità di rialzarsi, e questo va fatto con empatia, vicinanza e solidarietà.

Nel febbraio 1918 venne istituito il servizio P, con ufficiali a tutti i livelli con una solida attività culturale e intellettuale: artisti, giornalisti, intellettuali, definiti gli “ufficiali intellettuali”, attraverso un principio non gerarchico ma di competenza. Questi dovevano organizzare conferenze per tutti i target, conoscere e segnalare alle autorità i problemi delle truppe affinché vi provvedessero, stampare pubblicazioni, organizzare divertimenti, spettacoli e proiezioni di film, incrementare le case del soldato, mobilitare la popolazione civile, occuparsi del benessere delle truppe.

Non c’era mai una azione positiva che non venisse sottolineata con un riconoscimento, non più false comunicazioni e non più problemi taciuti. Questo in generale aiuta a motivare tutti i collaboratori di una organizzazione, a far capire che la qualità della prestazione tutela il proprio posto di lavoro.

Ai soldati venne affidato il ruolo di storyteller, di esperienze di popolo, di trincea e anche quelle che oggi chiamiamo esperienze di gamification a sostegno ad esempio ad una campagna sul vitto, che bandiva un concorso sulla migliore ricetta.

Le immagini nei giornali di trincea ebbero grande importanza. Si organizzarono fotomobilitazioni. Se l’engagement e il passaparola erano fondamentali per supplire alla mancanza di credibilità dei canali ufficiali, la comunicazione visiva rappresentò il miglior strumento di rinforzo ai racconti dei soldati. La crisi per le grandi organizzazioni è infatti crisi di verità. La prima cosa è ristabilire la percezione di sincerità prima che di affidabilità. Ribadire i valori aziendali, difendere la qualità del lavoro fatto, ma per farlo devi essere credibile. Per questo l’insieme di immagini grafiche e fotografiche è vincente. La grafica comunica senza eccessivo impegno, parlando attraverso gli occhi al cuore e la fotografia è l’arma contro i dubbi.

Con Diaz l’associazionismo diventa fondamentale. Nascono una pluralità di aggregazioni spontanee e stimolate, formali o informali, con compiti molto concreti, come il cucito, i doni, la propaganda, anche i bambini erano coinvolti e avevano il compito di coinvolgere le loro famiglie.

E l’efficacia nelle crisi è determinata dalla capacità della comunità di rendersi parte del progetto di resilienza, ciascuno nel proprio ambito, in modo concreto, passando da una situazione meramente cognitiva ad una di coinvolgimento.

E anche la partnership con altri attori diventa reputazione. Interessante in questo senso l’effetto psicologico dell’intervento alleato nella prima guerra mondiale, che era nei fatti inferiore a quanto comunicato. Una realtà che si affianca ad un’altra, può trasmettere il messaggio di miglioramento della qualità della loro proposta.

Diaz ci insegna che anche il mondo delle arti va coinvolto rispetto alle finalità strategiche. Il riconoscimento pubblico delle azioni positive aumenta la fiducia dei dipendenti e la considerazione degli stakeholders. Per ottenere questo può essere utile lasciare la mano ai creativi, con azioni innovative che possono coinvolgere dal punto di vista emotivo. E il superamento di una crisi può diventare un evento che unisce e crea emozione.

Nella comunicazione di crisi va quindi privilegiata la comunicazione interna in modo da allineare tutti i gangli vitali e i soggetti autorevoli di rappresentazione esterna. Mentre quella esterna deve essere tempestiva, coordinata e univoca, concentrandosi sui fatti e sulle azioni intraprese, mostrando impegno, umanità e trasparenza, non restando sulla difensiva, usando i media per dialogare con pubblici diversi, senza percepirli come nemici.

Pensando al mondo della sanità, questi libro ci offre tante spunti. Per ogni singola persona che coordina un gruppo di collaboratori, sino alla gestione complessiva di una grande organizzazione. Forse il più importante è che la gentilezza, dei singoli e organizzativa, può fare una grande differenza.

Un bel libro da leggere

Caporetto management - Dalla disfatta alla Vittoria: la lezione di Armando Diaz per i manager moderni
Antonio Iannamorelli – Lupi Editore 2018