Fragilità, problema o opportunità?
La fragilità spesso viene vista come un problema, ma è una condizione naturale che tutti noi prima o poi tocchiamo. Fragilità come elemento che rompe un equilibrio, fragilità che esprime dei bisogni delle persone e delle loro famiglie. E dove i servizi sanitari e sociali dovrebbero essere delle possibili risposte. Bisogni nelle loro diverse forme che cambiano anche nel tempo.
Da un lato le nostre comunità stanno diventando sempre più anziane, visto spesso solo come problema. Nell’ultimo secolo abbiamo fatti molti passi avanti da un punto di vista dell’aumento dell’aspettativa di vita. Questo grazie ai miglioramenti sui determinanti della salute, che incidono per l’80% sul benessere delle persone. E grazie anche a come sono gestite le malattie. E siamo ormai in grado di modificare il nostro DNA, ancora prima della nascita.
Quindi siamo una società sempre più potente da un punto di vista tecnologico, al punto che ci stiamo interrogando su quali limiti porre all’intelligenza artificiale e quali regole etiche dargli.
Potenza che si contrappone ad una sempre maggiore fragilità. Reale
o percepita, ma fragilità è. Basti pensare al malessere che i ragazzi
esprimono sempre di più.
Fragilità
che si lega anche alla visione sociale di vedere le persone come singoli individui
e non più come comunità nel suo
insieme.
Dal punto di vista economico, possiamo vedere questo come risultato della spinta a massimizzare i
profitti nel brevissimo termine. Lo vediamo in tanti modi. Un esempio su tutti quando tutti noi
acquistiamo online facendoci portare dai corrieri i beni a casa. Di fatto acquistiamo a meno in termini di prezzo, ma spostiamo il lavoro dalle botteghe a una rete
distributiva sempre più atomizzata e sfruttata, fatta di persone che non conosciamo neanche (a questo proposito invito a vedere il film “Sorry we missed you”
di Ken Loach).
O nel
sistema sanitario quando veniamo spinti ad avere una assicurazione personale sul nostro benessere, quando sappiamo
che il privato non avrà mai la forza per gestire i casi più complessi,
lasciandoli così ad altri. E creando le condizioni affinché il sistema pubblico, sanitario e sociale, faccia
sempre più fatica a gestire questa complessità, anche solo perché vengono a
mancare le risorse dedicate singolarmente al sistema privato.
In questo caso il problema
non è la presenza degli erogatori di servizi privati nel sistema, ma il legame sempre più vicino fra chi raccoglie le risorse delle persone e chi le utilizza organizzando i
servizi. E il perimetro che noi come società consentiamo alla loro azione, nella possibilità di escludere la fragilità e
lasciarla ad altri.
Gestione della fragilità che diventa quindi indicatore
della capacità di essere comunità, che da dis-valore può e deve diventare valore
positivo.
Come farlo? Quello
verso cui le istituzioni dovrebbero spingere è il passare da un approccio individualistico
ad uno di comunità, da uno di attesa ad uno in cui chi può offre il proprio
contributo alla comunità stessa.
E quel
contributo che ognuno di noi offre alla comunità in cui viviamo diventa
elemento stesso di benessere, che ci rende attivi mentalmente, fisicamente e da
un punto di vista delle emozioni messe in campo.
E questo
rendersi attivi vale ad ogni età. A partire dai giovani, che possono dare un
contributo importante e scoprire la gioia di essere parte della comunità, sino
alla terza età dove le possibilità per fare il proprio contributo sono davvero
tante.
Cito alcuni esempi fra gli altri. Il primo è il progetto modenese delle Palestre della memoria, che sta avendo un gradimento enorme da parte dei partecipanti alle
palestre, sia da parte dei volontari stessi. Il secondo è il servizio davanti
alle scuole per gestire il traffico, un tempo fatto dai volontari e ora a volte gestito
dalle forze di polizia locale che devono togliere risorse ad altri compiti. O le tante attività svolte dalle associazioni sui nostri territori.
Per quanto
riguarda i giovani, le opportunità sono davvero tante. Si tratta di creare
degli spazi in cui lasciar sperimentare la loro energia e il loro possibile contributo
alla comunità. Dobbiamo essere capaci di raccogliere il loro appello per avere il loro spazio nella società del domani.
Una proposta
più istituzionale potrebbe essere quella di ripristinare il servizio civile
obbligatorio per tutti i giovani, in modo da far loro sperimentare il piacere
di essere parte di un progetto legato alla loro comunità. Anche questo un modo
per tornare ad essere parte.
Tutti insieme quindi possiamo far diventare la fragilità una risorsa preziosa per le nostre comunità.